Un duro colpo per il peer-to-peer americano. Con una sentenza unanime, la Corte suprema degli Stati Uniti ha stabilito che i network online che consentono la condivisione di file audio-video possono essere incriminati. Questo se i loro utenti copiano senza autorizzazione musica, film o altri prodotti coperti dal diritto d’autore. Pirati gli utenti, pirati i gestori, ha decretato il massimo organo giudiziario americano. Una decisione che ribalta la giuriprudenza precedente e soddisfa a pieno le major dell’entertainment, mobilitate per polverizzare qualsiasi forma di “pirateria” online.
Scontro finale sul copyright. La clamorosa sentenza della Corte chiude una lunga causa, conosciuta come “MGM contro Grokster”, uno scontro tra 28 giganti della discografia e del cinema e i responsabili di un sistema di file-sharing . Per l’industria dell’intrattenimento, questo caso giudiziario era il test più importante della legge sul diritto d’autore nell’era di internet. Per alcuni, la più importante decisione sul copyright degli ultimi vent’anni. Le sentenze precedenti in corte d’appello, infatti, avevano stabilito che i network di peer-to-peer non possono essere ritenuti responsabili delle eventuali azioni illegali degli utenti, in quanto il sistema di scambio è usato anche per fini del tutto legittimi.
Il precedente Sony. La corte d’appello aveva respinto le tesi delle grandi aziende dell’entertainment , richiamandosi proprio a una storica decisione della Corte suprema: la sentenza “Sony” del 1984. In quell’occasione, i giudici decretarono che il colosso giapponese, produttore delle video-cassette Betamax VCR, non poteva essere considerato responsabile delle illegalità dei suoi acquirenti, che talvolta copiavano show televisivi senza autorizzazione. Se questo avveniva, non era certo colpa della Sony, il cui prodotto era usato anche per fini legittimi, come il registrare uno spettacolo tv per vederlo successivamente.
Una “storica vittoria”. Dopo la corte d’appello, anche il dipartimento di Giustizia americano aveva confermato il verdetto a favore di Grokster, ma le major hanno deciso di insistere fino all’ultimo grado di giudizio, la Corte suprema. Che ha dato loro ragione. “Una vittoria storica per la proprietà intellettuale nell’era digitale”, ha commentato con grande soddisfazione la Mpaa, l’associazione del cinema americano.
Anche i giganti piangono. I network online, come “Grokster” e “Morpheus”, consentono a milioni di internauti di scambiarsi gratuitamente musica e film, con un semplice trasferimento di file da un hard-disk all’altro. Ma le etichette discografiche e l’industria cinematografica sostengono da sempre di patire un grave danno a causa di queste pratiche di scambio. Gli introiti, secondo le major musicali, sarebbero crollati di circa il 25% da quando, nel 1999, il file-sharing ha cominciato ad affermarsi nel mondo.
Napster, il primo a cadere. Qualche anno fa, le major erano già riuscite a soffocare il fenomeno Napster, costringendolo, per vie giudiziarie, a distribuire musica a pagamento. Tuttavia, nel caso di Grokster, la corte d’appello aveva stabilito che il sistema utilizzato era lecito perché diverso da quello di Napster: esso infatti consente agli utenti di scambiarsi i file direttamente da computer a computer senza passare da un server centrale.